Alle PMI serve essere social: la sagra delle bufale

31 Ago

Oramai il fenomeno è imbarazzante.

Non passa giorno che qualcuno non scriva qualcosa al riguardo della necessità  delle PMI di “essere social”, ad esempio un recente articolo su un portale dedicato alla PMI che non linko per non inveire troppo sull’autore.

Prendiamo proprio questo articolo per il condensato di quelle che secondo me considero bufale (più o meno le stesse ripetute in diversi articoli nella rete  da diversi giornalisti o pseudoconsulenti di turno).

Bufala n.1
“Grazie alla rete di social network, blog e portali in cui pubblicare video, immagini e commenti, chiunque è in grado di trovare le informazioni utili per la sua ricerca”

Falso perchè fuorviante: la maggior parte delle ricerche parte su un motore di ricerca e l’utente preferisce il sito web del cliente per reperire informazioni (preferito rispetto alla pagina social di Facebook). Solo una minima parte degli utenti usa i social per fare ricerche, al massimo si utilizzano i comparatori di prezzo e i commenti sui prodotti. Per non parlare poi del fatto che sui social si parla solo di alcuni prodotti o servizi (meno di un 5% del totale), soprattutto quelli di largo consumo.

Bufala n.2
Prima di acquistare qualsiasi cosa su Internet, per l’utente è diventata quasi routine cercare informazioni sul prodotto o servizio rivolgendosi a persone che l’hanno già  acquistato.

“Dialogano sui social network, si scambiano pareri e informazioni su blog e forum e molto spesso il tutto avviene senza che l’azienda ne sia al corrente. Insomma, i Social Network  per i consumatori sono strumenti potentissimi che consentono loro di verificare la bontà  delle offerte, e più in generale, della comunicazione di qualsiasi impresa.”

Falso: probabilmente si confondono i commenti degli utenti su Amazon, Ciao e simili con gli strumenti social tout cour. Inoltre, quello che oggi fa il 4% degli utenti non può essere fatto credere che sia una procedura che si fa “spesso” (anche se sicuramente il trend di crescita è rapido e auspicabile) .

Bufala n.3
Alcune ricerche dimostrano che l’uso dei social media può apportare per le aziende almeno sette vantaggi:

  • maggiore visibilità  del marchio e dei prodotti aziendali (per l’85% delle aziende);
  • incremento del traffico verso il sito web aziendale (per il 63% delle aziende);
  • supporto alla costruzione di nuove relazioni commerciali (per il 56% delle aziende);
  • migliore posizionamento sui motori di ricerca (SEO) 54%;
  • acquisizione di contatti in target 52%;
  • supporto alla vendita di prodotti e servizi 48%;
  • riduzione degli investimenti in pubblicità  tradizionale 48%.

Falso: tali ricerche (esempio quella del CUOA) o sono viziate nell’interpretazione dei dati o semplicemente non esistono o più spesso realizzate da dilettanti allo sbaraglio. Probabilmente le ricerche di cui parla l’autore sono sondaggi su quello che pensano (sarebbe più corretto dire “sognano”) i marketer delle PMI sull’uso dei social network, non sul loro “successo”, visto l’incapacità  dei consulenti stessi nella corretta misurazione e, più ancora, quando la misurazione avviene seriamente, dell’insuccesso delle aspettative che trasforma il sogno in un incubo (ricerca in merito su eMarketer) e soprattutto sulla misurazione del ROI sugli investimenti fatti.

Infine, pur considerando che sia vero che il social aiuti nei punti di cui sopra, non è detto che non si possano ottenere i medesimi o (come più spesso accade) molto maggiori risultati con un sito 2.0 ben fatto.

Bufala n.4
Una PMI si considera social nel momento in cui decide di non lasciare in mano di altri la propria brand reputation.

Male esplicato. La reputazione è in mano agli utenti per definizione, al massimo l’azienda può preoccuparsi di conoscerla e migliorarla. A prescindere dai social network o dal web che nel passaparola è sicuramente oggi un’acceleratore devastante.

Non è quindi facendo attività  social che l’azienda migliora la propria brand reputation (anzi, più spesso di quanto si creda per le PMI  è consigliabile non farla perchè poco utile rispetto ad altre iniziative di marketing), ma “facendo iniziative ad hoc”, imparando a operare per il miglioramento del contesto sociale con cui tesse relazioni,  e/o offrendo prodotti e servizi che per loro natura generano “rumor positivi”.

Perchè i tentativi fatti da qualcuno nel creare artificiosi buzz positivi online (prassi purtroppo tuttora molto utilizzata dalle aziende per enfatizzare i propri prodotti e detrarre quelli concorrenti), o falsi like o falsi commenti positivi proprio per “fare social per la reputazione” hanno portato nel medio periodo a risultati devastanti per le aziende e dei loro consulenti, con un boomerang sulla loro reputazione. Ma mi fermo qui per non farmi troppi nemici…

Bufala n.5
Quali sono i passi per diventare Social? Ascoltare, monitorare, “ingaggiare”, dialogare…

Qui la bufola assume dimensioni spropositate. O l’azienda per il suo particolare prodotto e posizionamento di mercato decide di relazionarsi col suo cliente facendolo diventare un prosumer, o rischia di creare castelli nel deserto, aprendo canali di dialogo battuti da pochi beduini con risultati scarsi (ma che un bravo consulente social trasformerà  sicuramente in interessanti). C’è solo uno steep per diventare social: decidere di esserlo a livello strategico nel proprio DNA.

E c’è un errore che spesso le aziende e le agenzia social fanno, misurare il successo del social media marketing sul numero dei like. Al riguardo riporto il mio commento in merito ad un articolo di Layla Pavone “Come si misura le reputazione digitale”:

Scusami Laura. Da che mondo e mondo i pubblicitari misurano e vendono l’efficacia dell’ADV coi numeri (come quelli delle campagne Isobar). Come mai ora va di moda la quantità  e non la qualità ‘? Perchè prima forse le relazioni azienda utente erano inesistenti? O perchè occultate e occultabili? I marketer cercano da che mondo e mondo di fottere i consumatori facendogli credere cose non vere o alterando ai limiti del concepibile la realtà  per iniettare processi di acquisto, solo che con internet è un pò più difficile perchè gli utenti parlano e lasciano memoria del loro parlare, propagandola coi motori di ricerca… E’ per questo che articoli come il tuo, fatti da una “marketer”, non sono apprezzati così tanto. Stavi (e/o stai) dall’altra parte della barricata. Lavori per le aziende che sono costrette dai fatti a relazionarsi social, non perchè “gli piace”, che fanno fatica a capire cosa significa relazione utente/azienda, che vedono nei fans l’auditel del web, che ti costringono a impostare i tuoi piani di marketing su un livello comunque il più possibile monodirezione azienda /utente. Per questo non ti viene riconosciuto il valore nelle cose che dici nel tuo articolo… (…).Qui occorre passare il testimone a gente che ha sposato la nuova frontiera del fare marketing coi social, o eventualmente “convertirsi” abbandonando il passato. Altrimenti, seppur in buona fede, si rischia il linciaggio…

Essere social

Ci sono PMI per cui essere social è strategico e consigliato. Il social media marketing è utile per un certo numero di aziende in settori particolari (esempio turismo) o con prodotti particolari e predisposti alla verifica in rete e al buzz (esempio i prodotti IT), o che possono essere soggetti ad approfondimenti o o o… Occorre valutare di volta in volta con la dovuta expertise (expertise di marketing prima ancora che social).

Spannometricamente direi che per la maggior parte delle PMI Italiane entrare nei social è oggi poco utile, probabilmente antieconomico rispetto atri passi più importanti da fare nel web e fuori dal web, e molto più spesso inutile rispetto il modus operandi dell’azienda nel suo mercato di riferimento (normalmente product oriented) e la filosofia/cultura del management che spesso se el paron e fioi (padrone e figli) poco propensi a fare pubbliche relazioni.

Perchè non sarà  lo stagista a cui l’azienda o l’agenzia web ha normalmente preposto il fare social a far si che l’azienda sia social. Mi autocito:

“Qual’è, PMI, il vostro bene più prezioso? Voi stessi. O meglio, quello che la gente sa di voi, dei vostri prodotti o dei vostri servizi. Quello che la gente sa deriva dal vostro modo di comunicare, di creare relazioni, contenuti, argomenti, che nel web oggi vuol dire post sul blog, contenuti sul sito, facebook, twitter”¦ Sicuri che la persona migliore a cui affidarle il vostro bene più prezioso sia uno stagista o lo stagista dell’agenzia che deve farvi il prezzo stracciato?”

PMI e WEB

Che le aziende comincino a scrivere online di più rispetto al chi sono e cosa fanno è sicuramente auspicabile, così come utilizzare il web per aprire dei canali di comunicazione coi propri utenti immediati, semplici e accessibili agli utenti, e se possibile, condivisibili. Perchè il sito web non è un pollo ma un’aquila.

Creare siti ricchi di contenuti sui loro prodotti o servizi, sezioni di dialogo con il Customer Servici, documentazione online, FAQ etc. Gia questa è la prima rivoluzione che la PMI deve fare. Perchè i fatti e le “esperienze concrete” (nel nostro piccolo con qualche centinaio di clienti) dicono che gli utenti di questa “roba” ne vogliono eccome…

Gia, le esperienze concrete, quelle che chi scrive articoli o report sul Social e PMI spesso pare non abbiano o, quando analizzate nei risultati, cestinano per non volere credere ai loro occhi: la relatà  è opposta alla teoria.

Lo so, sono stato un pò troppo cattivo. Perchè credo nel social molto di più di quello che faccio credere, e auspico realmente un passaggio massivo delle PMI all’essere social, ma non tanto per regioni economiche, ma perchè credo che l’essere social sia uno dei pochi passi che possa permettere al mondo di migliorare e formare nuovi imprenditori migliori e rendere la società  più vivibile qualitativamente. Ma questo, purtroppo, è tutto un’altro discorso…

 

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